Colpite pesantemente aziende zootecniche anche in comune di Pietralunga. Brugnoni: “La situazione è ormai diventata insopportabile. Subito indennizzi e misure di prevenzione per evitare la chiusura delle imprese interessate”.

Non c’è pace negli allevamenti dell’Umbria. Alle croniche difficoltà di mercato che da tempo li affliggono e al freddo polare portato in questi giorni da “Attila” si è aggiunto un nuovo flagello, il lupo, che ha preso l’abitudine di aggredire greggi e allevamenti delle aziende zootecniche delle aree montane divorando capi ovini e bovini. Tra i comuni più colpiti, oltre a San Venanzo in provincia di Terni – dove, in località San Vito in Monte, da mesi i lupi stanno facendo incetta di bestiame –, c’è Pietralunga nel cui territorio, ai confini con Città di Castello, si è registrata negli ultimi tempi una pericolosa escalation delle aggressioni, con danni enormi in diverse aziende che allevano allo stato semibrado pregiati bovini di razza Chianina. l pericolosi selvatici sono venuti così a fare buona compagnia ai cinghiali che da anni imperversano incontrastati nella zona. “Il risultato di tale situazione - ha dichiarato il presidente della Cia dell’Umbria Domenico Brugnoni - è che sono enormi i danni economici arrecati agli agricoltori ed agli allevatori la cui proverbiale pazienza ormai sta per finire; l’indennizzo immediato alle aziende interessate è assolutamente urgente e necessario ma ormai non più sufficiente ad affrontare con serietà il problema cronico dei danni da selvatici. Occorre un piano straordinario di contenimento, ancor più essenziale quando si ha a che fare con specie protette come nel caso dei lupi.” Secondo la Cia dell’Umbria, ad aggravare la situazione nel comune di Pietralunga c’è anche lo stato di abbandono in cui versa la locale azienda faunistico-venatoria di proprietà pubblica. Tale struttura si estende per 1.600 ettari e, da quando  non è più gestita, si è trasformata in un pericoloso ricettacolo di selvatici di ogni tipo e in particolare di lupi che vi stazionano indisturbati sostentandosi costantemente con le prelibate carni delle Chianine al pascolo nelle aziende confinanti. La Cia sollecita, pertanto, la Regione dell’Umbria a farsi carico dello stato di grave disagio e di pericolosità in cui versano molti  allevamenti regionali nelle aree montane  avviando un confronto con gli enti pubblici e con gli imprenditori interessati per definire un progetto finalizzato ad una gestione imprenditoriale e sostenibile delle aree interne e marginali così come delle aziende faunistico-venatorie e dei parchi e aree protette dell’Umbria.

 

Perugia, 28 novembre 2013

La Cia in occasione del VI Forum vitivinicolo nazionale, oggi a Orvieto: per far fronte al costante calo dei consumi interni (-60% in 40 anni), il settore deve spingere ancora di più sui mercati stranieri. Puntando sui processi aggregativi che “superano” il problema strutturale delle piccole dimensioni aziendali e danno dal 20 al 30% in più di competitività all’estero. Gli strumenti, centrali nella nuova Pac, sono le Op e le Oi, senza dimenticare il ruolo delle reti d’impresa e dei Consorzi di tutela. Solo “facendo sistema” si può avere maggiore forza contrattuale e consolidare “l’appeal” delle bottiglie tricolori su piazze sempre più concorrenziali e globalizzate.

Il vino italiano rappresenta una delle poche eccezioni positive di fronte alla crisi globale: “vale” quasi 14 miliardi di euro l’anno con l’indotto, mantiene il primato tra i Paesi esportatori con una quota del 22 per cento del mercato mondiale e le vendite oltreconfine di bottiglie tricolori a fine 2013 potrebbero toccare per la prima volta i 5 miliardi (+9 per cento), stabilendo un nuovo record storico. Eppure il settore, che già ora si candida a fare la differenza nel lento processo di ripresa dell’Italia, può crescere ancora di più. Lavorando su una maggiore aggregazione della filiera. E’ quanto emerge dal VI Forum vitivinicolo nazionale, “Più forte la filiera, più forti gli agricoltori”, organizzato dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori oggi a Orvieto.Da un’analisi confederale, viene fuori ancora una volta, come dato strutturale che si replica in tutti i comparti -sottolinea la Cia- che la dimensione media inferiore rispetto agli standard europei dell’impresa agricola italiana (7,9 ettari contro 12,6) è un “handicap” rilevante, soprattutto in una fase in cui i consumi nazionali stagnano e i mercati stranieri costituiscono l’unica chance per aumentare i volumi di vendita. Questo è ancora più vero per il pianeta del vino, per due motivi: da una parte, i gruppi italiani a misura globale oggi sono per lo più cooperativi, mentre la maggior parte delle aziende produttrici non sono dimensionate per sostenere efficacemente i processi di internazionalizzazione; dall’altra il settore ha la necessità di spingere ancora di più l’acceleratore sull’export, visto che gli acquisti domestici continuano a segnare il passo. In meno di 40 anni si è perso oltre il 60 per cento del consumo interno e lo stesso 2013 chiuderà i battenti con il segno meno: nei primi nove mesi dell’anno le vendite di vino nella Gdo sono già scese del 6 per cento in volume e, continuando così, l’anno chiuderà sotto i 40 litri pro capite (erano 110 litri a persona negli anni Settanta).E’ chiaro quindi che, con questa situazione del mercato italiano, bisogna fare uno sforzo aggiuntivo sul fronte delle esportazioni di vino, coinvolgendo anche tutte quelle migliaia di aziende che adesso non riescono ad arrivare oltreconfine, o lo fanno solo marginalmente, perché con la loro “taglia” non hanno la forza per agganciare i mercati stranieri, per investire in marchi, forza vendita e reti di distribuzione. Ecco perché bisogna costruire una maggiore forza contrattuale e “fare sistema”: secondo i dati della Cia, già oggi la quota di imprese che esprimono un miglioramento della propria competitività all’estero grazie a processi aggregativi di filiera va dal 20 per cento nel caso delle micro imprese a oltre il 30 per cento nel caso delle medio-grandi.Per questo è doveroso spingere verso l’aggregazione tra le imprese, promuovendo allo stesso tempo l’integrazione delle filiere per arrivare a ottenere equilibri equi e responsabili tra agricoltori, trasformatori e distributori -evidenzia la Cia-. Solo sfruttando pienamente tutti gli strumenti a disposizione, dalle Op (Organizzazioni di produttori) alle Oi (Organizzazioni interprofessionali), dalle reti d’impresa ai Consorzi di tutela, ci si può confrontare con maggiore forza sui mercati stranieri che sono sempre più concorrenziali, con 40 gruppi vitivinicoli che oggi controllano quasi il 40 per cento del fatturato globale.Insomma, è l’aggregazione che crea maggiore valore aggiunto lungo tutto la filiera -puntualizza la Cia durante il convegno-. Vuol dire, per esempio, semplificare e velocizzare logistica, costi e burocrazia, offrire etichette di qualità a prezzi competitivi senza subire “ricatti” dai buyer, accedere e ampliare la promozione e il marketing. E soprattutto significa fare massa critica per rafforzare la presenza all’estero non solo delle Doc, Docg e Igt, ma anche di tutto quel patrimonio di varietà autoctone finora non valorizzate.            Gli strumenti sono tanti, e la riforma della Pac dà loro una nuova centralità che non può essere sprecata. Innanzitutto ci sono le Op, il cui ruolo è fondamentale per accelerare i processi di aggregazione della fase produttiva, rendendo sempre più protagonisti i vitivinicoltori. Solo in questo modo è possibile superare i limiti del sistema agroalimentare italiano, dalle piccole dimensioni fino all’elevata dispersione territoriale. Ovviamente le Op non vogliono essere alternative alle coop, ma possono essere un ulteriore strumento in sinergia con il sistema cooperativo.Un altro strumento importante è sicuramente quello delle reti d’impresa (anche nella forma di ATI) che, oltre a migliorare la redditività, consentono un più agevole accesso al credito e migliorano la capacità strategica e di relazione grazie alle maggiori risorse messe a sistema -aggiunge la Cia-. Lo stesso vale per le Oi, luogo della programmazione contrattualizzata del prodotto in ogni filiera: da un lato hanno il compito di regolare produzione e caratteristiche qualitative, dall’altro migliorano la trasparenza e forniscono indicazioni sulla formazione del prezzo, compreso nelle relazioni con la Gdo. Nel settore vitivinicolo, per esempio, si può pensare alla strutturazione di più organismi a livello territoriale e/o alla formalizzazione dei luoghi dove si definiscono accordi quadro.Infine, ci sono i Consorzi di tutela, che restano il fulcro organizzativo delle strategie di qualità regolamentate legate all’origine e alla tipicità dei prodotti, svolgendo funzioni primarie come la gestione del disciplinare, la vigilanza sull’uso del marchio, la promozione e la programmazione. Ma oggi -emerge dal convegno- occorre un cambio di rotta e un salto di qualità, risolvendo il problema urgente della rappresentatività dei Consorzi. Bisogna, cioè, assicurare la partecipazione effettiva di tutte le componenti imprenditoriali; rivedere i pesi tra aziende utilizzatrici del marchio, componenti effettive della filiera e strutture di servizio; far passare il principio che è il prodotto che sostiene la maggior parte dei costi.Solo consolidando le diverse forme di collaborazione della filiera si moltiplica davvero il valore del nostro vino, anche all’estero, dove l’appeal delle nostre bottiglie è già evidente nei numeri, ma resta suscettibile di forte crescita. Puntare sull’agricoltura, sulla terra, sui prodotti d’eccellenza come il vino, può farci uscire dalla crisi. Ma per tornare sulla via dello sviluppo -conclude la Cia- la nostra vera forza è stare insieme.

 

 Orvieto, 21 novembre 2013

Confronto tra tecnici ed esperti sulle strategie di sviluppo della vitivinicoltura

Dibattito di altissimo livello sulle prospettive di un comparto fondamentale per l’economia dei nostri territori, quello che si terrà in occasione del VI Forum Nazionale Vitivinicolo organizzato dalla Cia ad Orvieto, presso La Badia, nella mattinata di giovedì 21 novembre, a partire dalle 9,30. Certamente la scelta del luogo non è stata casuale se è vero che la Città della Rupe e l’Umbria nel suo complesso hanno assunto negli ultimi anni un ruolo rilevante nel panorama enologico nazionale ed internazionale. All’appuntamento, introdotto dalla relazione di Domenico Mastrogiovanni del dipartimento Sviluppo agroalimentare e Territorio della Cia, parteciperanno personalità di spicco Confederazione (il presidente Giuseppe Politi ed i vicepresidenti Domenico Brugnoni e Secondo Scanavino), del sistema produttivo (Giovanni Dubini, presidente del Gie Vitivinicolo della Cia dell’Umbria; Domenico Zonin, presidente Unione Italiana Vini; Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi; Ruenza Santandrea, presidente gruppo Cevico; Stefano Zanette, presidente Consorzio Prosecco; Marco Caprai, presidente Confagricoltura Umbria; Francesco Ferreri, vicepresidente Assovini Sicilia; Carlo Ricagni, Commissione paritetica Moscato d’Asti) e delle Istituzioni (l’assessore regionale Fernanda Cecchini, il sindaco di Orvieto Antonio Concina ed il direttore del Mipaaf Felice Assenza).Verrà affrontato, tra l’altro, il tema delle Organizzazioni di produttori (Op), delle Organizzazioni interprofessionali (Oi) e dei Consorzi di tutela, quali strumenti essenziali per attivare un’efficace azione di promozione e commercializzazione mediante il consolidamento dell’aggregazione, della competitività e del livello d’internazionalizzazione delle imprese vitivinicole.  

 

 

 

 

Perugia, 19 novembre 2013

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